• Archivi

  • Foto Ammazzatecitutti Lombardia

Video-poker e proiettili in busta A Lecco la ‘ndrangheta rialza la testa

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it

di Fabio Abati

Un sindaco della Lega oggetto di minacce: prima una molotov poi un bososlo. Un consigliere d’opposizione sotto scacco. Da Oggiono a Calolziocorte, gli affari del potente clan di Franco Coco Trovato corrono tra sale giochi e macchinette

Il gioco ai lecchesi può far male. Tra minacce ad amministratori pubblici e vecchi fantasmi legati alla criminalità organizzata, continuano i problemi della comunità lariana con macchinette video-poker e slot machine. In riva a “quel del ramo del lago di Como” le ultime statistiche dicono che sono 150 mila i giocatori abituali, dei quali almeno 4 mila “compulsivi”. Questi ultimi affrontano un’abitudine del genere in maniera patologica, dedicandovi un tempo al di là del lecito ma soprattutto sperperando veri e propri patrimoni. Se a tutto questo si aggiunge il fatto che in provincia di Lecco il numero delle sale giochi aumenta di anno in anno, è facile intuire di che giro d’affari milionario stiamo parlando e quindi degli appetiti che può stimolare.

Nel 2009 un’operazione della Polizia di Lecco, ribattezzata “Oversize”, mise in luce nel settore pure gli interessi della ‘ndrangheta. Emiliano Trovato, figlio trentenne del boss di Marcedusa (Catanzaro) Franco Coco – che in zona spadroneggiò almeno sino agli inizi degli anni novanta – aveva finito per investire i proventi del suo traffico proprio nel mondo delle sale giochi. Secondo i giudici, che in primo grado gli hanno comminato una condanna a più di vent’anni, per traffico di droga, armi, riciclaggio, usura ed estorsione, il suo gruppo ben articolato era arrivato a esercitare un vero e proprio monopolio nel mondo delle slot e dei videopoker, non risparmiandosi neppure dell’utilizzare, scrivono i magistrati: “Strumenti d’intimidazione per ottenere il benestare all’installazione di macchinette”.

Ma dopo gli arresti è tornata serenità nel settore? Non si direbbe, visto le minacce che continua a subire chiunque si metta di traverso al cammino di questa gallina dalle uova d’oro. Neppure un sindaco può considerarsi pienamente al sicuro. Roberto Ferrari, 36 anni, è il primo cittadino di Oggiono. È un militante della Lega Nord e ci tiene a sottolinearlo, ma se qualcuno della sua stessa area politica stenta a credere che una certa criminalità organizzata abbia preso piede nella ricca e “celtica” Lombardia, la sua esperienza è lì a smentirlo.

Il 14 marzo di quest’anno l’amministrazione di Oggiono approva un regolamento che introduce forti limitazioni alla nascita di sale gioco nel territorio comunale. La notte dell’8 aprile una molotov esplode fuori dalla porta di casa del sindaco Ferrari. Il mattino successivo viene rinvenuta, sempre nella cassetta delle lettere del primo cittadino, una busta con l’intestazione scritta a mano “al sindaco” e con all’interno un proiettile. Un altro bossolo viene rinvenuto nelle vicinanze del palazzo comunale la sera del 13 aprile, mentre è in corso un consiglio al quale stava assistendo pure il sottosegretario Roberto Castelli, che portava la sua solidarietà al sindaco per le minacce ricevute.

Per il momento le indagini sono affidate alla magistratura ordinaria di Lecco, che sta raccogliendo nuovi elementi e che valuterà poi se trasferire il tutto all’antimafia di Milano. Ferrari, però, sembra aver pochi dubbi sulla matrice dei fatti che lo hanno riguardato. Del resto un invito a non sottovalutarli gli è arrivato dallo stesso ministro dell’Interno Roberto Maroni, che in una visita in zona non ha mancato di passare da Oggiono a portare la sua personale solidarietà.

“L’attività di installazione delle macchinette videopoker ha rappresentato un settore dell’economia in cui l’associazione si è inserita con evidenti mire egemoniche, perseguite anche con il ricorso alla forza dell’intimidazione”, scrivono i giudici del Tribunale di Lecco nella sentenza di appello che conferma le condanne di primo grado per il gruppo di Trovato. Stiamo parlando quindi di un settore dove la criminalità ha sempre sguazzato.

Rappresentano quindi un pericolo per l’economia dei clan, tutti questi regolamenti restrittivi che molte amministrazioni comunali vorrebbero approvare. Regolamenti che in realtà possono ben poco. Prima di tutto non è loro facoltà bloccare tout-court l’apertura di una nuova sala; possono solo limitarne le caratteristiche e l’operatività. Inserendo, per esempio, obblighi sulla proprietà e i soci: che devono essere liberi da ogni pendenza giudiziaria; oppure sulle caratteristiche costruttive, stabilendo una distanza minima da scuole, oratori, chiese o biblioteche.

Ma la battaglia delle amministrazioni lecchesi e le conseguenti minacce, sono bi-partisan. A Calolziocorte la vittima non è il sindaco o un rappresentante della maggioranza – sempre Lega Nord – ma un consigliere di opposizione: Corrado Conti, in quota Pd. Inoltre, in questo caso la vicenda è complicata da una sala giochi che in paese sta per sorgere proprio in questi giorni. Conti è il primo a dire che quanto è successo a lui non è necessariamente da legare a questa nuova apertura; fatto sta che dopo le proteste che ha sollevato in consiglio comunale a inizio gennaio, il 17 dello stesso mese s’è trovato nella cassetta della posta una lettera minatoria con scritto: “infame …sala giochi ….basta, lavatene le mani… lascia stare…basta infamie!”

A coadiuvare l’azione di Conti c’è Duccio Fiacchini, l’animatore di un blog antimafia e molto attivo sul terriotiro: quileccolibera. Lui ha il dubbio, senza generalizzare, che certi collegamenti siano duri a morire. Il socio di una nuova sala che sta per aprire, ha firmato con nome e cognome un messaggio postato sul blog di Fiacchini, dal tono inequivocabile: “merdosi ipocriti, siete e sarete sempre una città di merda con la mentalità contadina […] Franco è e sarà sempre il mio migliore amico!” Il riferimento è a Franco Poerio, un calabrese ucciso a Lecco nel 2008 e che aveva sposato la cugina di Emiliano Trovato. Un fantasma al carcere duro, ma che se si parla di macchinette, in un modo o nell’altro, ritorna.

Quarto Oggiaro senza più padroni. Il clan Flachi in prima fila per la piazza di spaccio più ricca di Milano

Fonte: http://www.milanomafia.com

Dopo gli arresti che hanno colpito i clan Tatone e Carvelli e la cattura dei narcotrafficanti Castriotta e Filisetti, il quartiere della droga è senza padroni. Ma la grande corsa è partita, e da Bruzzano arriva l’ombra dei Flachi

Gli arresti

Nel 2007 la polizia arresta a Quarto Oggiaro Mario Carvelli e alcuni uomini legati al clan Sabatino-Carvelli di Petilia Policastro (Kr). Ma gli arresti durano lo spazio di qualche giorno e molti uomini del clan vengono scarcerati
Scatta così l’operazione Ciak 2 condotta dalla squadra Mobile e dagli agenti del commissariato che riporta in carcere con l’accusa si associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, il boss Mario Carvelli
A fine 2009 Mario Carvelli viene condannato in primo grado a 30 anni di carcere
Nel dicembre 2009 scatta l’operazione Smart che porta in carcere invece i casertani del clan Tatone
A novembre invece i carabinieri del Ros avevano arrestato il boss Nicola Tatone, insieme ai narcotrafficanti Giordano Filisetti e Francesco Castriotta

Milano, 24 marzo 2010 – Gli equilibri sono saltati, il mercato è senza padroni. Quarto Oggiaro oggi è terra di conquista. Il grande supermercato a cielo aperto della droga non s’è mai chiuso, ma dopo gli arresti degli ultimi due anni la geografia criminale del quartiere ha cambiato volto. Mario Carvelli, condannato a 30 anni per l’inchiesta Ciak 2 che nel giugno del 2008 aveva portato in carcere l’intero gruppo Sabatino-Carvelli, è ormai fuori gioco. Con lui buona parte del gruppo composto perlopiù da giovanissimi. E fuori gioco sono oggi anche gli uomini del clan Tatone, guidato da Nicola Tatone, arrestato nel corso dell’operazione Pavone del Ros dei carabinieri e successivamente raggiunto da una nuova ordinanza di custodia del Commissariato di Quarto Oggiaro nell’operazione Smart lo scorso dicembre. Arresti che hanno messo la parola fine al gruppo di spaccio che aveva nel frattempo conquistato le piazze lasciate libere dai Carvelli. In carcere dallo scorso novembre anche Francesco Castriotta e Giordano Filisetti, accusati di traffico di droga proprio nell’operazione Pavone. Loro, secondo le accuse del pm Marcello Musso, per anni hanno rifornito all’ingrosso il mercato di Quarto Oggiaro. E oggi? Lo spaccio non s’è mai fermato, ma sicuramente il contraccolpo degli arresti è stato forte, fortissimo.

Storicamente sulla zona di Quarto Oggiaro ha sempre pesato la figura di Biagio “dentino” Crisafulli. Lui oggi è in carcere a Fossombrone (PU), come molti uomini che in passato lo hanno affiancato. Suo fratello Franco è stato ucciso proprio a Quarto Oggiaro il 24 maggio del 2009, ma l’omicidio non è maturato per questioni di droga ma per affari personali con Donato Faiella, reo confesso e arrestato pochi giorni dopo. Altre storie quindi. Ma soprattutto altri tempi. Oggi, dicono gli investigatori, il gruppo in pole position per la guida di Quarto Oggiaro è un altro. In particolare si parla degli uomini legati al boss Pepè Flachi, oggi in carcere. Uomini che, dopo gli arresti delle operazioni Wall Strett e Atto Finale, sono tornati a guidare la malavita organizzata a Bruzzano, il quartiere a nord di Milano da sempre nelle mani del gruppo Flachi. Il clan, secondo le ultime analisi, avrebbe negli anni aumentato il proprio peso sulla Comasina (altro storico avamposto della cosca) e da lì si sarebbe allargato fino al vicino quartiere di Quarto Oggiaro, passando per la Bovisasca.

Gli inquirenti ritengono oggi il gruppo Flachi uno dei più attivi dopo gli arresti. Il loro peso nei quartieri Comasina e Bruzzano non sarebbe mai venuto meno, in tutti questi anni. Del resto anche le loro attività commerciali e imprenditoriali sono rimaste negli stessi quartieri: negozi, ditte di trasporti e ristoranti. Ma gli interessi del clan non si fermerebbero qui. Fin dagli atti dell’inchiesta Wall Street emergono i contatti tra il capo clan Pepé e alcuni imprenditori edili milanesi. In particolare con il costruttore Sergio Domenico Coraglia, coinvolto e poi assolto in Cassazione nell’inchiesta Duomo connection. Negli anni, il gruppo di Pepè avrebbe continuato a tessere rapporti con il mondo imprenditoriale. Non solo perché il gruppo Flachi avrebbe cercato legami con gruppi politici, in particolare con il mondo dell’estrema destra e dei locali notturni.

Il traffico di droga, infatti, è sempre stato il principale business del clan, fin dagli anni Ottanta ai tempi dell’alleanza con la famiglia campana dei Batti. Un sodalizio interrotto bruscamente alla fine degli anni ’80, quando il clan guidato da Pepè Flachi ha stretto alleanza con gli ‘ndranghetisti guidati da Franco Coco Trovato. E da quel momento iniziò la guerra scatenata da Flachi e Coco Trovato contro i Batti. Una faida che ha portato a 14 omicidi in poco più di dieci anni. Poi gli arresti e il carcere anche per gli uomini dei Flachi, tutti originari di Reggio Calabria. Ma nelle carte dell’inchiesta Pavone il nome dei Flachi è tornato a farsi sentire. E soprattutto il loro peso.

Per la vicenda Pavone il pm Musso aveva chiesto il carcere per il fratelli Enrico, classe 1964 e Giovanni classe 1974, ma il gip Stefania Donadeo aveva rifiutato la custodia cautelare data “l’esiguità delle prove raccolte” dai Ros in merito all’accusa di riciclaggio di denaro. Enrico e Giovanni sono fratelli di Giuseppe Flachi, detto Pepè, e il loro coinvolgimento nell’indagine per traffico di droga si deve soprattutto ai legami con Francesco Castriotta. E’ lui, infatti, nel luglio del 2006 a chiedere un incontro con Enrico Flachi. Lo scopo è quello di ricevere protezione dalla famiglia, dopo che Castriotta era scampato ad un agguato. Persone, annota il gip, “influenti di Quarto Oggiaro per ricevere protezione e rassicurazione circa la propria incolumità”. Castriotta, insomma, temendo di essere ucciso chiede garanzie ai Flachi. Per il narcotrafficante il solo intervento dei Flachi, che comunque farebbero riferimento al boss in carcere Pepè, sarebbe sufficiente ad evitare nuovi agguati nei suoi confronti. E infatti, dopo quell’episodio, la situazione si placa. Ma c’è di più, perché secondo le accuse Castriotta avrebbe messo in piedi con i Flachi, e in particolare con Giovanni, un giro di riciclaggio. Un giro che si interrompe in modo brusco quando Giovanni Flachi non onora i propri impegni e non restituisce il denaro, una piccola somma intorno ai 7 mila euro. Questo almeno a leggere le accuse, che tuttavia non vengono ritenute “sufficienti” per emettere un ordine di custodia cautelare in carcere. (cg/dm)