Fonte: http://www.milanomafia.com
In 700 pagine il pm Marcello Musso racconta mandanti e killer di sei omicidi di mafia avvenuti a Milano a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Milanomafia ve li racconta. Si inizia con il boss Gaetano Carollo
L’indagine
Il sostituto procuratore Marcello Musso chiude in 700 pagine di richiesta cautelare la storia di dieci anni di mafia a Milano. Una storia scandita da sei omicidi fino ad oggi ancora priva di colpevoli.
Attraverso le testimonianze di pentit: da Giovanni Brusca ad Antonino Giuffrè, Musso dà nomi e volti ai killer di Gaetano Carollo (6 giugno 1987), di Vincenzo Di Benedetto (20 novembre 1987), di Cristoforo Verderame (30 ottobre 1988), si Scerra Carmelo (15 giugno 1989), di Carmelo Tosto (3 ottobre 1990) e di Alfio Trovato (2 maggio 1992)
L’ordinanza del Gip Mariolina Panasiti, datata 7 maggio 2009, ha però respinto in toto le richieste cautelari del pm per 22 indagati
Intanto, il 15 dicembre, in seguito alla richiesta di rinvio a giudizio, si è svolto l’udienza preliminare nell’aula bunker di san Vittore. In videoconferenza anche Salvatore Riina che ha scelto il rito ordinario. Altri 18 indagati hanno preferito l’abbreviato. Il tutto, intanto, è stato rinviato al 19 gennaio prossimo
Milano, 15 dicembre 2009 – “Quando sono salita nella macchina di mio marito per soccorrerlo, sanguinava dalla testa e non rispondeva alle mie domande, né dava segni di vita. Non so immaginare chi gli abbia sparato. Sino a due anni fa mio marito era costruttore edile e aveva dei dipendenti. Ha costruito a Trezzano sul Naviglio e anche in altri paesi. Da due anni, invece, si è dato alla latitanza”. Proprio per questo. “Non so dove vivesse, però ogni tanto veniva a prendermi e mi portava in un paesino che voi mi dite chiamarsi Liscate, dove aveva un appartamento del quale non so l’indirizzo”. Questa donna piccola piccola dagli occhi scuri scolpiti dentro a un volto incartapecorito parla un italiano stentato. I carabinieri di Pioltello fanno fatica a decifrare quelle parole declinate in un siciliano strettissimo. Sì, perché Antonina Ciulla è nata a Palermo nel 1938. Al nord ci è arrivata agli inzi degli anni Settanta seguendo le vicende giudiziarie del marito già sottocapo della famiglia di Resuttana, capeggiata da Piddu Madonia, uno dei più fedeli luogotenenti di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. Quello è l’uomo che ama e dal quale ha avuto due figli, Pietro e Antonio detto Tony. Con lui ha condiviso anni di vita, gli ultimi 15 qui a Milano, forse disapprovando, ma certamente non ostacolando i traffici del marito. Quel marito che ha appena visto morire sul sedile di una Talbot Samba. E’ il primo giugno del 1987. E’ da poco passato mezzogiorno. Due ore prima a Liscate viene ucciso Gaetano Carollo, trafficante di eroina, ambasciatore di Cosa nostra a Milano e amico rispettato dagli uomini della ‘ndrangheta.
Un omicidio di mafia , il primo di una lunga serie che in quegli anni insanguina Milano. In totale saranno sei. Sono boss, luogotenti e semplici comparse che animano la scena mafiosa sotto la Madonnina. La macabra partitura, rimasta oscura per oltre vent’anni, oggi sembra poter essere svelata dal lavoro di Marcello Musso, magistrato tenace e caparbio della Dda milanese. Fatti e personaggi stanno tutti nelle 700 pagine della sua richiesta di applicazioni di misure cautelari. Un documento complesso, che pur avendo avuto un giudizio negativo davanti al Gip con il rigetto delle misure cautelari per tutti e 22 gli indagati, questa mattina è approdato nell’aula bunker di via Filangieri dove si è svolta l’udienza preliminare. Udienza interlocutoria, in cui 18 indagati hanno chiesto il rito abbreviato, mentre per gli altri c’è stato il rinvio al prossimo 19 gennaio. Intanto, il 20 aprile 2005 è diventata definitiva la sentenza sui mandanti dell’omicidio Carollo con nomi e cognomi che compongono il gotha di Cosa nostra. Tra questi Salvatore Riina, Giovanni Brusca, Giuseppe Calò, Bernardo Provenzano condannati perché “componenti della Commissione provinciale di Palermo di Cosa Nostra e, pertanto, quali mandanti in concorso con Salvatore Cancemi e ignoti esecutori, cagionavano con premeditazione la morte di Gaetano Carollo contro il quale erano esplosi più colpi d’arma da fuoco”. Sotto il titolo “Omicidio Carollo”, la sentenza di Palermo fa convergere anche gli omicidi di Antonino Ciulla (suocero di Gaetano e fratello di Antonina Ciulla, ndr), Armando Bonanno, Pietro Carollo (figlio di Gaetano, ndr) e Francesco Bonanno. Tutte persone uccise nello stesso giorno e in quelli successivi alla morte di Carollo, “perché – dice il pentito Marino Mannoia, già uomo d’onore della famiglia di Santa Maria del Gesù comandata, fino alla sua morte, dal Principe di Villagrazia, ovvero Stefano Bontate – volevano dei chiarimenti sulla morte di Carollo”. Omicidio, quello di Liscate maturato, sempre per Mannoia, “per motivi interni alla famiglia di Resuttana” e in particolare perchè “Carollo scalpitava troppo e questo nonostante la sua alta posizione di sottocapo”.
Eppure, quando i carabinieri di Pioltello intervengono in via Cazzaniga a Liscate, i residenti della zona raccontano che a essere ucciso è un tale ingegnere Michele Tartaglia, un tipo taciturno, ma cortese. E in effetti i documenti che la vittima tiene in tasca sono quelli di Michele Tartaglia nato a Serracapriola il 9 luglio1940. Quindi, il nome Carollo, vine storpiato in Carolla come testimonia il verbale dell’autopsia. “Tre proiettili, molto probabilmente per pistola 38 o 7,65, oltre che alcuni capelli che il Carolla stringeva col pollice indice della mano destra”. Dopodiché Davide Basile, un ragazzo di 15 anni, vede l’omicidio in diretta. In via Cazzaniga sta portando a spasso il cane. “Ho sentito tre spari provenire da via Cazzaniga, ho visto che vi erano due persone, sparavano contro un uomo che era alla guida di una vettura Talbot Samba. Subito dopo ho visto che i due salivano a bordo di una Fiat Regata grigio metallizzato. Alla guida, vi era un’altra persona. La vettura ha fatto manovra e poi sono fuggiti a forte velocità verso via Aldo Moro. Ho visto che uno dei due killer impugnava l’arma con due mani rivolta verso l’interno dell’autovettura. I killer li ho visti di spalle”. Davide Basile nel 2007 davanti al pm Musso conferma l’identica sequenza. Nei giorni successivi all’omicidio, gli investigatori scoprono che l’appartamento di Liscate, intestato a Tartaglia, è di proprietà della Monti Immobiliare, il cui titolare è Sergio Domenico Coraglia, imprenditore piemontese, che nel 1989 verrà coinvolto nell’inchiesta Duomo Connection, indagine di mafia e politica in cui l’imputato principale è proprio Tony Carollo, il figlio di don Gaetano.
L’omicidio di Liscate, al di là dei mandanti, resta un mistero fino al 2007, quando il pentito Ciro Vara mette sul tavolo nomi, fatti, circostanza. Lui, uomo d’onore della famiglia di Vallelunga legato a Piddu Madonia, reo confesso del sequestro del piccolo Di Matteo, il figlio di un collaboratore di giustizia sciolto nell’acido per ordine dei corleonesi, inizia il suo racconto il 27 luglio 2006. “Piddu Madonia mi riferì che Provenzano – con il quale, quando si trovava a Milano, aveva dei contatti anche epistolari -, gli aveva dato mandato di uccidere Ciulla o un parente di questi, poiché era inviso ai corleonesi”. E ancora: “Madonia ebbe effettivamente ad organizzare l’omicidio, come lui stesso mi riferì. Per realizzarlo aveva fatto salire dalla Sicilia Cataldo Terminio, uomo d’onore della famiglia di San Cataldo e rappresentante della stessa. Terminio era stato accompagnato da Antonio Rinzivillo, uomo di spicco della famiglia mafiosa di Gela, nonché consigliere provinciale di Cosa Nostra di Caltanissetta. Sia Piddu Madonia sia Antonio Rinzivillo mi riferirono che la vittima era stata chiamata per nome e poi inseguita mentre cercava di scappare. In altre parole, si esaltavano le capacità del Terminio. So che, quindi, l’omicidio effettivamente è stato commesso”.
In sintesi: Piddu Madonia, raccogliendo l’invito della Commissione, pianifica l’omicidio, facendo salire apositamente un killer. Fatto, quest’ultimo, confermato da Calogero Pulci, già membro della commisisione provinciale di Caltanissetta. “Riferisco di un omicidio commesso nel 1987 ai danni di un palermitano che abitava a Milano. In quell’occasione Piddu Madonia mi disse di andare a prendere suo figlioccio, Cataldo Terminio, perché doveva ammazzare un palermitano a Milano. Effettivamente lo accompagnai a Milano, dove lo lasciai in compagnia di Madonia, in una casa in via San Gregorio che era stata affittata da Antonio Rinzivillo. Dopo qualche settimana, in Sicilia, il Terminio mi disse di aver fatto il lavoro. Successivamente, a Milano, Madonia e Rinzivillo mi parlarono di quell’omicidio, e del favore che, nel commetterlo, avevano fatto a Provenzano e Riina”. Dopodiché Pulci racconta la fase operativa: “Terminio e Rinzivillo mi confidarono che i pedinamenti e comunque il precedente controllo della zona dove meglio poteva essere realizzato l’omicidio erano stati fatti dallo stesso Rinzivillo”.
La regia di Piddu Madonia viene confermata, oltre che dal pentito Francesco Onorato (“Lui qui al nord aveva l’appoggio dei gelesi”), anche da Giovanni Brusca. “Parlai – dice Brusca – dell’omicidio Carollo con Salvatore Riina”, dopodiché conferma che gli altri quattro omicidi che fanno da corollario all’esecuzione di Liscate sono avvenuti “perché questi avevano preteso spiegazioni”. Chiude il cerchio delle dichiarazioni attraverso le quali il pm ricostruisce l’omicidio, il pentito Antonino Giuffrè. L’ex braccio destro di Binnu Provenzano alza il velo sul potenziale militare degli uomini di Piddu Madonia. “Giuseppe Madonia è importante perché è a capo dell’esercito di Gela, che sono tutti sparatori, persone che andavano sparando in tutti i posti dove c’era bisogno in Sicilia e nel Nord Italia. Questi avevano fatto due guerre, la guerra con gli stiddari prima e poi successivamente una guerra interna fra di loro, erano degli sparatori eccellenti, dei guerrieri eccellenti, e dove c’era di bisogno, in modo particolare quando il signor Provenzano, ecco perché le dicevo ‘un tutt’uno’. La stessa forza di Provenzano veniva indirettamente da Madonia”.
Dopo Carollo, in quello stesso anno, toccherà a Vincenzo Di Benedetto, ucciso per ordine di Madonia che lo ritiene il killer di un suo compare: il catanese Nello Pernice. Siamo solo all’inizio. Perché, come racconta Salvatore Faccella, killer di Cosa nostra, “quello che voleva rifare Riina era riportare Milano sotto Cosa Nostra, come era una volta quando c’era Luciano Liggio qua, perché Riina diceva: “Milano è nostra, non è di Jimmy Miano o di Coco Trovato o dei calabresi o dei catanesi, è nostra, non è degli altri”. (dm)
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